La tragedia di Brandizzo e la sicurezza sul lavoro
Quando la sicurezza è impossibile la invochiamo e pretendiamo, quando è possibile la trascuriamo e tralasciamo. La tragedia di Brandizzo e la sicurezza sul lavoro
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Quando la sicurezza è impossibile la invochiamo e pretendiamo, quando è possibile la trascuriamo e tralasciamo. La tragedia di Brandizzo e la sicurezza sul lavoro
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Quando la sicurezza è impossibile la invochiamo e pretendiamo, quando è possibile la trascuriamo e tralasciamo. La tragedia di Brandizzo e la sicurezza sul lavoro
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Quando la sicurezza è impossibile la invochiamo e pretendiamo, quando è possibile la trascuriamo e tralasciamo. La tragedia di Brandizzo e la sicurezza sul lavoro
Quando la sicurezza è impossibile la invochiamo e pretendiamo, quando è possibile la trascuriamo e tralasciamo. Se la ricostruzione dei fatti sarà confermata, sarà difficile far rientrare la strage di Brandizzo nella categoria della “sciagura ferroviaria”. I cinque operai travolti dal treno e morti sarebbero ancora vivi se il “no” all’apertura del cantiere ferroviario, dato per ben tre volte da Vincenza Repaci – dirigente Movimentazione della Stazione di Chivasso – fosse stato rispettato. Invece, stando alla ricostruzione fin qui fatta dalle indagini giudiziarie, i due sopravvissuti – Antonio Massa e Andrea Girardin Gibin, rispettivamente “scorta-ditta” e capocantiere – hanno trasgredito e aperto il cantiere con questa bella precauzione: «Se dico treno, spostatevi». Il treno, che era in ritardo, è arrivato per davvero e i cinque operai non sono riusciti a lasciare i binari in tempo utile, mentre il capocantiere e lo “scorta-ditta” di Rfi sono vivi per miracolo, ma vivi. Ora devono però spiegare perché erano nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Né sciagura né errore. Né incidente né fatalità. Tutto sembra riconducibile alla trascuratezza e a una cattiva abitudine: lavori svolti prima degli orari concordati e fra il passaggio di un treno e il successivo convoglio. È bene dire e ripetere che sembra che sia andata così. È bene sottolineare che le indagini sono in corso e, dunque, l’uso del condizionale è d’obbligo. Tuttavia la ricostruzione dei fatti, le testimonianze, il video dell’operaio Kevin, i precedenti: tutto va in questa direzione. Ma il passaggio dal condizionale al passato prossimo non avviene per accusare questo o quello: l’accusa giudiziaria non è un compito giornalistico. Qui ci si limita a far risaltare il paradosso della sicurezza: se è impossibile la si vuole, se è possibile la si trascura. La terza via della sicurezza possibile non è mai presa seriamente in considerazione.
Il rapporto con la sicurezza non gode in Italia né di buona salute né di buoni argomenti. Si oscilla fra due estremi: o la sicurezza totale o la sciatteria particolare. La prima è inesistente, la seconda è diffusa. La prima è un alibi, la seconda è un’abitudine. Così accade che la terza, ossia la concreta sicurezza possibile, sia una prassi che stenta ad affermarsi. Il costume nazionale, sia concesso chiamarlo così, è sempre caratterizzato da sofisticati discorsi sui massimi sistemi, sfiorando le virtù teologali e il sesso angelico. La conseguenza è che la pratica è molto lontana dalle utopie e dalle favole e ognuno fa un po’ come gli pare, mettendo a rischio non soltanto la vita propria ma anche quella degli altri.
Fra l’impossibilità usata come alibi e la sciatteria praticata come tornaconto c’è la terza via che nessuno o pochi praticano perché nessuno la vuole teorizzare ed esprimere bene: esiste un mondo del lavoro quotidiano che è fatto di dovere, rigore, scrupolo. È una realtà che si può riassumere in una sola formula: fatica particolare. È vera, produttiva e inevitabile. Ma nessuno la vuole né dire né sentire perché non è sfruttabile come slogan, come promessa, come illusione. Eppure, cos’è che serve come il pane a questo Paese, che è sempre pronto a piangere i suoi morti sul lavoro, se non questa virtù civile che rende legittimo e reale ciò che fattibile? Ma a questo discorso serio si fanno sempre orecchie da mercante. Sui luoghi pubblici – scuole, uffici, aziende – abbondano i corsi sulla sicurezza ma s’ignora la pratica della sicurezza reale. L’Italia è il Paese delle “carte a posto” e della realtà sottosopra. Spiace dirlo, ma il caso di Brandizzo è esemplare.
di Giancristiano Desiderio
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