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Scuola maturità

Scuola: imparare senza capire è inutile

Attraverso la Maturità mi accorgo anche che stiamo fallendo nel compito di aiutare i ragazzi a essere appassionati, consapevoli e critici

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Scuola: imparare senza capire è inutile

Attraverso la Maturità mi accorgo anche che stiamo fallendo nel compito di aiutare i ragazzi a essere appassionati, consapevoli e critici

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Scuola: imparare senza capire è inutile

Attraverso la Maturità mi accorgo anche che stiamo fallendo nel compito di aiutare i ragazzi a essere appassionati, consapevoli e critici

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Attraverso la Maturità mi accorgo anche che stiamo fallendo nel compito di aiutare i ragazzi a essere appassionati, consapevoli e critici

Mi sono diplomata nel 1984, insegno dal 1989 e dal 1994 sono interna, esterna o presidente alla Maturità. Testimonio spesso le contraddizioni e i disonesti giochi delle parti che tolgono senso a un esame da 250 milioni di euro, di cui non importa nemmeno alle università, che fanno i test di ammissione già al quarto anno delle superiori. Ma attraverso la Maturità mi accorgo anche che stiamo fallendo nel compito di aiutare i ragazzi a essere appassionati, consapevoli e critici.

In storia, filosofia, italiano e inglese si ripetono le identiche cose di 40 anni fa, come se dopo la Seconda guerra mondiale, Svevo e Pirandello, i ‘War Poets’ e Freud non sia più successo nulla. Uno studente ‘bravo’ ha raccontato all’orale una visita in Parlamento nella sala Aldo Moro ribadendo che c’era il busto di Moro. Gli ho chiesto cosa lo colpisse del personaggio: non sapeva chi fosse!

Nel 2024 ci si diploma senza la minima idea della Guerra fredda, della formazione della Palestina, delle Brigate Rosse, del Muro di Berlino, della disgregazione dell’Urss. La colpa non è del programma (i programmi non esistono più da anni) o della mancanza di tempo: basterebbe tagliare un po’ i Sumeri o le dinastie imperiali o le minuzie sulle guerre dei 30-50-100 anni. Il passato è essenziale per affrontare il presente e costruire il futuro, ma è più importante per esempio capire il senso delle guerre puniche che saperne tutte le date, le battaglie e i condottieri. E in letteratura: perché sono inderogabili la Scuola siciliana, “La Gerusalemme Liberata”, Goldoni e “Il Piacere” (che potrebbero essere corsi monografici universitari) e non invece autori contemporanei, che forse farebbero vivere ai ragazzi il piacere della lettura?

L’aspetto più terribile è che abbiamo inculcato colpevolmente negli studenti l’idea che imparare consista nel ripetere a memoria critiche letterarie o filosofiche o formule scientifiche di cui non è affatto importante capire il senso, bensì dirle con le stesse parole del libro o del professore. Certi si giustificano dicendo che la storia e la letteratura devono essere lontane nel tempo per poterne parlare con consapevolezza. Falso: io studiavo la Resistenza pur essendo nata solo vent’anni anni dopo e Ungaretti e Montale quando erano ancora viventi.

Alcuni docenti lottano per inserire tutto il Novecento nelle programmazioni, ma sono i colleghi stessi a opporsi per quieto vivere. Ma è possibile fare uscire dalla scuola ragazzi che hanno letto solo gli stessi branetti antologici che leggevo io 40 anni fa, ripetendo le fasi del Pessimismo leopardiano o i princìpi del Verismo senza passione né emozione o la formula della gittata senza chiedersi come si ricava, convinti che imparare sia questo? Non sarebbe più formativo per la loro crescita culturale e umana leggere (e per intero) anche romanzi ‘non classici’ che possano appassionarli e spronarli a capire di più la nostra storia? Cito tra i tanti “La Signora di Ellis Island”, con cui Mimmo Gangemi ci fa vivere le migrazioni italiane del primo Novecento; “Prima di noi”, potente affresco del Novecento scritto da Giorgio Fontana; “L’estate fredda”, magistrale inchiesta di mafia di Gianrico Carofiglio; Viola Ardone che, con il suo “Oliva Denaro”, affronta il matrimonio riparatore e con “Grande meraviglia” tratta della chiusura dei manicomi; Daniele Mencarelli, con la sua ansia di salvezza in prosa e in poesia.

Scelte legate certo alla personalità del docente. Ma meglio prendersi responsabilità che possano appassionare i ragazzi, piuttosto che fargli soltanto ripetere a vuoto, senza chiedersi nulla e soprattutto senza provare piacere.

di Cristina Agazzi

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