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Scuola. Tra precariato e obblighi

Poco meno della metà di quanti siederanno dietro le cattedre non saranno docenti di ruolo. 150mila supplenti non saranno stati selezionati con un concorso. E vai con la solfa del “precariato”
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Scuola. Tra precariato e obblighi

Poco meno della metà di quanti siederanno dietro le cattedre non saranno docenti di ruolo. 150mila supplenti non saranno stati selezionati con un concorso. E vai con la solfa del “precariato”
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Scuola. Tra precariato e obblighi

Poco meno della metà di quanti siederanno dietro le cattedre non saranno docenti di ruolo. 150mila supplenti non saranno stati selezionati con un concorso. E vai con la solfa del “precariato”
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Poco meno della metà di quanti siederanno dietro le cattedre non saranno docenti di ruolo. 150mila supplenti non saranno stati selezionati con un concorso. E vai con la solfa del “precariato”
Fra qualche giorno le scuole riapriranno. Dopo una settimana richiudono, per farne dei seggi elettorali. Poco meno della metà di quanti siederanno dietro le cattedre non saranno docenti di ruolo. 150mila supplenti non saranno stati selezionati con un concorso. E vai con la solfa del “precariato”. La fiacca campagna elettorale, intanto, ha avuto un sussulto per la proposta Pd di rendere obbligatoria la frequenza dai 3 ai 18 anni, suscitando qualche fischio e un’esagerata accusa di “sovietizzazione”. Proviamo a fare qualche proposta, dividendo i tre aspetti: insegnanti, obbligo e risultati. Fare il paragone fra gli stipendi nostri e quelli di altri Paesi non ha alcun senso. Farne discendere, come ha fatto sempre il Pd, la richiesta di aumenti generalizzati è controproducente. A fine mese la paga degli insegnanti italiani e inferiore alla media europea, per non dire a quella dei colleghi tedeschi, ma è diversa anche la giornata: le ore medie di lavoro, in Italia, sono 23 a settimana; quelle Ue sono 33, quelle tedesche 40. Inoltre in Germania si vede crescere la paga non allo scorrere del tempo, ma al crescere di capacità e responsabilità. In quanto ai “precari”: si stanno facendo i concorsi, 30mila assunzioni sono state già fatte e 70mila in arrivo, purtroppo s’è attinto ancora al bacino delle graduatorie. Per il futuro si dovrà evitare di trovarsi senza docenti selezionati, il che significa fare periodicamente e ricorrentemente i concorsi. Ovvio che ci saranno sempre i supplenti, ma anche quelli dovranno venire dai non assegnatari immediati di cattedra, salvo rifare il concorso con un vantaggio di punteggio. Inoltre ci si deve dotare di un sistema di valutazione dei docenti, che non può essere affidato a colleghi, presidi, genitori o studenti. Serve una banca dati che conservi le condizioni di arrivo, uscita e successiva carriera scolastica e universitaria degli studenti. Quella è la qualità del prodotto, tenuti presenti i punti di partenza, quindi la qualità dell’insegnante. Più si sta a scuola e meglio è. Prima ci si entra e meglio è. In Italia c’è una drammatica mancanza di nidi, per i più piccoli. Quello è il welfare familiare mancante. Conseguentemente i prezzi sono alti. Lì si deve investire. Portare l’obbligo a 3 anni può servire, serve di più rendere possibile la frequentazione con scuole idonee. Posto che, rispetto all’obbligo esistente, che va dai 6 ai 16 anni, abbiamo un 13% che non lo rispetta, disperdendosi (la media Ue è del 10%), si faccia attenzione al fatto che l’ingresso nel mondo del lavoro è calcolato, in Ue, a partire dai 15 anni. In Italia esiste, a partire dai 16 (perché prima obbligati ad andare a scuola), per i giovani lavoratori, il diritto di alternare la formazione. Innalzare l’obbligo a 18 vuol dire che non potranno lavorare prima? Sarebbe difforme dalla contabilità europea, svantaggioso per i singoli e destinato a far crescere la dispersione. Semmai si dimostri che un giovane capace può scalzare un adulto (a cominciare dalle università) si offrano più scelte formative e, premiando il merito, si dimostri che l’istruzione (non il titolo) ha una correlazione positiva con il reddito futuro. Studiare sia conveniente, oltre che bello. I maturandi italiani, già diciottenni (almeno), arrivano alla licenza in gran parte ignoranti. Ci si occupa sempre del contenitore e mai del contenuto. Che sia finita (speriamo bene) la stagione della pandemia è bellissimo, ma che con la fine della didattica a distanza si butti anche l’ipotesi della didattica digitale è un errore. I libri sono irrinunciabili, la biblioteca un paradiso, ma i libri di testo una costosa fregatura rinunciabilissima. Non solo si può seguire, se serve, da remoto, ma i contenuti digitali, lezioni comprese, sono riutilizzabili. Forse crollerebbe il mercato nero delle ripetizioni, ma sarebbero esaltante le capacità dei docenti bravi, che sono molti. Obbligare va bene, ma anche la politica a non procedere per sindacalese e sloganese.   Di Davide Giacalone

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