Il presidente sottovalutato
Rimpiangeremo Joe Biden? Etimologicamente parlando no ma potremmo trovarci a riscoprirne alcuni tratti più in fretta di quanto si possa pensare oggi, distratti da Trump e Musk
Il presidente sottovalutato
Rimpiangeremo Joe Biden? Etimologicamente parlando no ma potremmo trovarci a riscoprirne alcuni tratti più in fretta di quanto si possa pensare oggi, distratti da Trump e Musk
Il presidente sottovalutato
Rimpiangeremo Joe Biden? Etimologicamente parlando no ma potremmo trovarci a riscoprirne alcuni tratti più in fretta di quanto si possa pensare oggi, distratti da Trump e Musk
Rimpiangeremo Joe Biden? Etimologicamente parlando no ma potremmo trovarci a riscoprirne alcuni tratti più in fretta di quanto si possa pensare oggi, distratti da Trump e Musk
Joe Biden è Franklin Delano Roosevelt? Ovvio che no e neppure John Fitzgerald Kennedy o Bill Clinton, se è per questo. Rimpiangeremo Joe Biden? Etimologicamente parlando no ma potremmo trovarci a riscoprirne alcuni tratti più in fretta di quanto si possa pensare oggi, distratti dal muscolarismo trumpiano e dall’egocentrismo spaziale di Musk.
Si può essere Presidenti non destinati a passare alla storia ma buoni Presidenti, per certi aspetti ottimi. Azzoppati dall’immagine, nell’era dell’immagine. Dal vigore sfiorito, nel derby sottinteso e infine fatale con un uomo appena più giovane e non certo a riparo da defaillance cognitive ma capace di costruirsi un’aura superomistica che di questi tempi piace tanto.
Quando, nel suo discorso di commiato alla nazione, Joe Biden fa riferimento ai rischi per la democrazia connessi all’affermarsi di un’oligarchia negli Stati Uniti d’America o richiama il cardine costituzionale della separazione dei poteri mette il dito in tutte le piaghe dell’amministrazione Trump due.
Non si tratta di demonizzare Trump, come negli ultimi trent’anni le sedicenti forze progressiste hanno periodicamente demonizzato con effetti talvolta tragicomici tutti i Berlusconi, Trump, Meloni, Blair e persino Renzi di passaggio.
Si tratta di interrogarsi sul check and balance, che è uno dei lasciti fondamentali dell’architettura costituzionale Usa alla civiltà occidentale. Interrogarsi sul confine fra ricchezza, potere personale e servizio al pubblico. Perché Musk non è certo il primo miliardario a occuparsi di politica e a sfruttare le proprie, gigantesche risorse per costruirsi un consenso ma una simile commistione fra imprenditore, politico, ministro, consigliori e multimiliardario nella storia moderna delle democrazie non si era mai vista.
Tutti impegnati, invece, a rafforzare quelle tribù contrapposte con sempre meno punti in comune, meno valori indiscutibili su cui fondare la forza di una democrazia moderna e compiuta.
Prendete l’annuncio della tregua a Gaza: l’ansia di Trump di metterci il cappello stride con la capacità delle due amministrazioni di lavorare di concerto, mille volte più importante di qualsiasi intestazione.
“Is that a joke?“ si è chiesto Biden ma no, non è uno scherzo. È la nuova realtà dei troppi che si fanno strumento di una macchina che non è solo disinformazione ma ricostruzione quotidiana di una realtà di comodo.
Anche di questo ha parlato il vecchio Joe, sottolineando le necessità dei proprietari dei social di rispondere dei contenuti: nulla più fuori moda mentre ci si prepara all’insediamento di Trump con Zuckerberg sul palco d’onore, dopo aver allineato Meta alle pratiche “anti censura” di X.
Joe Biden è un politico della vecchia scuola, un professionista raffinato e di elevata competenza, proprio quando ci raccontano che tutto questo non serva più. Speriamo che il risveglio non sia troppo doloroso.
di Fulvio Giuliani
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