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ricatto nucleare

Il ricatto nucleare: la disperata provocazione russa

Mosca ricorre al ricatto nucleare per compensare la débâcle militare

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Il ricatto nucleare: la disperata provocazione russa

Mosca ricorre al ricatto nucleare per compensare la débâcle militare

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Il ricatto nucleare: la disperata provocazione russa

Mosca ricorre al ricatto nucleare per compensare la débâcle militare

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Mosca ricorre al ricatto nucleare per compensare la débâcle militare

La delegazione dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica è infine giunta nella centrale nucleare più grande d’Europa. Situata nella città di Enerhodar, sul territorio dell’oblast’ di Zaporiggia, conta ben 6 reattori nucleari e fu progettata per sostenere l’energivora industria pesante ucraina. Ai tempi dell’Urss, infatti, la Repubblica Socialista Sovietica Ucraina era seconda a pochi altri Paesi come industrializzazione e persino la tanto acclamata industria bellica russa affidava molte parti della sua produzione alla Terra dei Girasoli.

Si tratta di cooperazioni ormai affogate nel fiume di sangue con cui il criminale Putin ha deciso di irrorare l’antico rapporto tra le rus’ di Kyiv e di Mosca ma che dimostrano l’importanza strategica dell’Ucraina nell’ottica della rivitalizzazione della postura imperialistica russa. Tale postura, ininterrotta dall’emancipazione moscovita rispetto all’Orda d’Oro nel XIV secolo, ha subìto un mero ridimensionamento a causa della perestrojka dell’appena scomparso Gorbačëv, in un periodo che i russi vivono come una smuta (momento di caos) a cui è impossibile rassegnarsi. Il regime siloviko ha sempre inteso ogni ex repubblica socialista come una ‘terra irredenta’ e il 24 febbraio è stata una delle più grandi docce fredde della storia dell’umanità giacché quel giorno 140 milioni di russi hanno scoperto che la loro visione del mondo aveva un obiettore: gli ucraini.

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L’emergenza che ha portato gli osservatori Aiea a Enerhodar è figlia della zoppicante tattica che il Cremlino ha dovuto improvvisare dopo aver sbattuto il muso sui Javelin e gli Stinger che gli Usa avevano donato all’esercito di Zelens’kyj. L’Operazione Z prevedeva in primo luogo un’avanzata forsennata su tutte le città per travolgere le truppe degli «ukronazi». Poi il tentato assedio alla capitale, da cui però erano stati eliminati tutti i gruppi di sabotatori russi. Quindi è venuto il «gesto di buona volontà», cioè la ritirata delle truppe dall’Ovest per concentrare tutto il possibile nell’offensiva donbasiana. Ora infine è arenata in uno stallo patetico in cui le forze decimate dell’armata russa muoiono per far avanzare il russkij mir (il mondo russo) di qualche decina di metri alla volta sino alla prossima trincea giallazzura. La propaganda potrà coprire il disastro finché ci sarà ancora qualche povero vatnik (il soprannome ucraino per i soldati russi in ‘onore’ della storica giubba dell’Armata Rossa) disposto a immolarsi, ma la situazione psicologica diverrà insostenibile in madrepatria nel caso di nuove ritirate. Buona fortuna nel vendere quelle come nuovi «gesti di buona volontà».

In questa fase la Federazione Russa ha un disperato bisogno di una tregua alla coreana per assestarsi nei territori conquistati, prendere fiato dalle sanzioni e ricostituire il suo esercito; non vi è però possibilità alcuna che l’Ucraina si presti a un compromesso che la costringerebbe a quella pace inginocchiata che purtroppo anche taluni qui in Italia le augurano. Così, d’un tratto, la centrale nucleare più grande d’Europa è diventata bivacco per le Z truppen di Šojgu e obiettivo di insensati bombardamenti d’artiglieria. Rievocando la tragedia radioattiva di Černobyl’, la propaganda ruscista vorrebbe indurre l’Occidente a parteggiare per un cessate il fuoco che favorirebbe solo l’aggressore. La missione dell’Aiea è scongiurare appunto che tali provocazioni sfocino in un vero incidente radioattivo dalle conseguenze imprevedibili.

di Camillo Bosco

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