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W.I.T.C.H., le streghe Disney

Will Vandom, Irma Lair, Taranee Cook, Cornelia Hale e Hay Lin. Le iniziali dei nomi di queste cinque teenager formano l’acronimo W.I.T.C.H, strega

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Will Vandom, Irma Lair, Taranee Cook, Cornelia Hale e Hay Lin. Le iniziali dei nomi di queste cinque teenager formano l’acronimo W.I.T.C.H, strega

Will Vandom, Irma Lair, Taranee Cook, Cornelia Hale e Hay Lin. Le iniziali dei nomi di queste cinque teenager formano l’acronimo W.I.T.C.H, strega. La loro vicenda editoriale nasce nel contesto vulcanico della Disney Italia di fine anni Novanta sulla scia del successo ottenuto dalle nuove avventure di Paperinik (evolutosi nel parallelo Pk). Comprese le potenzialità economiche del pubblico adolescente, la branca italiana dell’impero editoriale disneyano si apre in quel periodo a nuove prospettive, sia pure ancora piena di timori e incapace di offrire uno straccio di strategia. Il colosso lancia “Mickey Mouse Mystery Magazine”, l’hard boiled (per così dire) di Topolino, ma l’avventura moderna dei classici pare già essersi conclusa. Come spesso accade, la fortuna dell’azienda si nasconde invece nella folta schiera di collaboratori che ha coltivato nei decenni passati.

Una di questi è la genovese Elisabetta Gnone. Giornalista, è impiegata nelle numerose riviste parallele che in quel periodo Disney Italia produce per agganciare il pubblico delle edicole. “Minni e le magnifiche cinque”, una storia del 1993 di Bruno Concina e Maurizio Amendola, sembra indicarle la strada per un prodotto editoriale più adatto al pubblico delle teenager. Gnone ci lavora su, trasformando persino i protagonisti da topi in paperi. A Barbara Canepa, una brillante colorista tra le nuove leve Disney, fa disegnare una tavola dove Paperina è in viaggio da sola verso una nuova città. L’idea pare simile a quella del nuovo magazine di Topolino, cioè portare un vecchio personaggio in un nuovo ambiente per giustificare il cambio di tono narrativo. Gnone si convince però che il progetto ‘delle 5’ abbia più senso senza alcun attaccamento ai setting già conosciuti: i suoi sono personaggi con un’estetica differente, molto influenzata dai disegni dei fumetti giapponesi (d’altronde in quel momento “Sailor Moon” è in Italia il cartone animato femminile per eccellenza).

Per l’adozione di questo nuovo stilema grafico, oltre a quello di Canepa è fondamentale anche il contributo del disegnatore Alessandro Barbucci. Se la prima introduce colorazioni complesse e sfumate, il secondo elabora dei grafismi che occidentalizzano quelli orientali. Il risultato è superiore alla somma delle parti, dando corpo a qualcosa di completamente inedito per la Disney e quindi oggetto di crescenti frizioni col gruppo dei decisori (all’epoca un eccessivo accostamento al manga viene ritenuto ancora un demerito). L’ormai insperata salvezza di “W.I.T.C.H.” arriva in occasione della riunione annuale con un inviato dalla sede centrale Disney, a cui Gnone – sfidando il divieto della dirigenza – mostra il dossier delle cinque streghe. Privo del timoroso provincialismo italico, lo statunitense dà un assoluto via libera.

Grazie allo sceneggiatore Francesco Artibani il progetto acquisisce dunque la sua piena dimensione narrativa dando vita a dieci anni pieni di successi, ma anche di passi falsi e tensioni fra l’azienda e i creatori. Le vendite vertiginose e la moltiplicazione delle iniziative editoriali legate a “W.I.T.C.H.” si portano dietro ogni volta un corredo burocratico interno alla Disney che diventa via via intollerabile. Il cartone animato viene orientato su un pubblico diverso rispetto a quello del fumetto. Viene negata la possibilità a Canepa e Barbucci di essere accreditati come creatori e percepire royalties dalle vendite. Gnone riesce invece a ottenere la dicitura di creatrice (peraltro senza compensi aggiuntivi), ma più in ragione della sua posizione aziendale che non di una politica rispettosa degli autori. La serie “W.I.T.C.H.” chiude infine nel 2012 dopo 139 albi, con i due creatori grafici alienati dalla stessa azienda e un pubblico che ha ormai scelto altri lidi per l’assenza di lungimiranza dei vertici della Disney.

di Camillo Bosco

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