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Musica algoritmo

Musica a tempo di algoritmo

Una constatazione sulla musica: tutto è uguale o quasi; fra rap, trap e autotune si punta tutto sull’algoritmo che produce dividendi

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Una constatazione sulla musica: tutto è uguale o quasi; fra rap, trap e autotune si punta tutto sull’algoritmo che produce dividendi

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Una constatazione sulla musica: tutto è uguale o quasi; fra rap, trap e autotune si punta tutto sull’algoritmo che produce dividendi

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Una constatazione sulla musica: tutto è uguale o quasi; fra rap, trap e autotune si punta tutto sull’algoritmo che produce dividendi

Tanto marketing e pochi contenuti, un paio di singoli che funzionano sulle app di streaming e in radio, poi via con il tour e l’accesso privilegiato agli stadi, ai palazzetti dello sport, con inevitabile e rumoroso (sui social) sold out. È la tendenza dello scenario musicale attuale, fenomeno certamente non solo italiano, con molta forma e davvero poca sostanza, anche se il gusto del pubblico e di chi paga va sempre rispettato.

La voce dei Måneskin Damiano David, che annuncia il suo tour solista a livello mondiale nel 2025 da 30 date (a Milano il 7 e a Roma l’11 ottobre), è solo l’esempio di una lunga serie di artisti che si somigliano quasi come le banconote uscite dalla Zecca di Stato, sebbene il talento del frontman della band romana riceva apprezzamenti a ogni latitudine, vedi l’ultimo bagno di folla al “Jimmy Fallon Show”. E quindi l’annuncio del suo tour mondiale forse serve soltanto per indurre alla riflessione se davvero bastino alcune canzoni di qualità (o che abbiano ottenuto un riscontro commerciale) a garantire arene da decine di migliaia di spettatori e l’etichetta di star. Insomma, non tutti sono Geolier o Lazza – solo per fare due nomi – ma ormai così sembra e l’accesso al successo sembra essere assai più agevole rispetto a qualche tempo fa.

Deve far riflettere la recente denuncia di Manuel Agnelli, leader degli storici Afterhours e giudice di “X Factor”, a proposito della «schiavitù dei risultati» nel microcosmo musicale. C’è una sequela di cantanti che si muove sullo stesso filone: stessi producer, stessi autori dei brani, autopromozione via social e poi passaggio all’incasso su Spotify e Amazon Music. Non è certo una critica, ma il risultato di una constatazione: c’è una specie di ‘dittatura di numeri’; tutto è uguale o quasi; fra rap, trap e autotune si punta tutto sull’algoritmo che produce dividendi. Così l’originalità non è certamente la priorità. E pazienza se si assiste a un appiattimento generale su basi, testi e ritornelli. La conseguenza è l’impoverimento musicale e sul punto non si può derogare, perché chi si affaccia ora sul mercato prova a seguire gli stessi passi dei predecessori.

Ovviamente ci sono dei picchi di talento, ma a lasciare perplessi è il sistema, il modo in cui si fa musica oggi per avere successo. Magari sarà anche una fase di passaggio. Negli Stati Uniti, ma ancora di più nel Regno Unito, sono stati cancellati o temporaneamente sospesi nei mesi scorsi diversi festival musicali (alcuni anche di nicchia) che erano gli ultimi avamposti di una sana gavetta per cantanti e band di ogni genere musicale. L’interesse verso queste forme di intrattenimento è visibilmente diminuito. È il formato-musica che cambia, non per forza in meglio. Anzi. E se piace così tanto – è indiscutibilmente così, lo dimostra la top 10 degli artisti di Wrapped su Spotify – come mai scatta immediatamente l’effetto nostalgia all’ascolto di “Again” (il brano postumo di Pino Daniele, voce e chitarra), subito schizzato al primo posto fra i più trasmessi dalle radio secondo EarOne? E perché l’albumAlaska Baby” di Cesare Cremonini appare un pezzo di nobiltà pop? Quindi forse tutto tornerà. Forse.

di Nicola Sellitti

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