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Arpad Weisz

Arpad Weisz, padre del calcio moderno tradito e dimenticato

Arpad Weisz era il calcio. Poi il buio. L’uomo che inventò il calcio moderno venne condannato a morte e alla damnatio memoriae
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Arpad Weisz è stato il padre del calcio moderno. Con l’Inter vinse il primo campionato italiano di serie A (1929/1930) e creò il Grande Bologna donando a Vittorio Pozzo i migliori calciatori della sua Nazionale, compreso Giuseppe Meazza di cui fu lo scopritore e il maestro. Weisz era un genio e un signore, ma era ebreo e fu tradito dalla ferocia assassina delle leggi razziali del 1938. Il calcio italiano degli anni Trenta brilla per grandezza e bellezza e tanto di tale splendore si deve al grande ungherese. Purtroppo al momento opportuno il calcio non seppe essere all’altezza di Arpad Weisz, non seppe fare la cosa giusta, necessaria, ovvia. Salvarlo.

Questa è una storia di calcio e di vita ma anche di morte e tragedia. Weisz nella città “dotta” rimase tre stagioni, vincendo due scudetti consecutivi e il Trofeo dell’Esposizione in Europa (l’equivalente dell’odierna Champions League). Il Grande Bologna di Weisz vinse contro i francesi del Sochaux e i cecoslovacchi dello Slavia. In finale a Parigi la squadra aveva da vedersela con gli inglesi del Chelsea. Impossibile vincere. Invece il Bologna vinse per 4 a 1. Fu il trionfo dello squadrone che faceva tremare il mondo. Vittorio Pozzo – che ammirava e seguiva Weisz – gli “rubò” idee, innovazioni, prove e studi perché capì (come scrisse anche nella prefazione al libro di Weisz “Il giuoco del calcio”) che per lui il gioco era studio e conoscenza. La famiglia Weisz – con Ilona (Elena) avevano due figli, Roberto e Clara – abitava in via Valeriani 39, a meno di un chilometro dal Littoriale. Negli anni che vanno dal 1935 al 1938 Arpad era l’uomo più noto e apprezzato che ci fosse a Bologna, era l’allenatore della squadra famosa in Europa. La squadra di Gianni, Fiorini, Gasperi, Montesanto, Andreolo, Corsi, Maini, Sansone, Schiavio, Fedullo, Reguzzoni.

Arpad Weisz era il calcio. Poi il buio. L’uomo che inventò il calcio moderno venne condannato a morte e alla damnatio memoriae. Nessuno, nessuno, nessuno lo salvò. Tutti conoscevano i Weisz, nessuno li salvò dall’inferno. La macchina dello sterminio si era messa in moto. Non ci fu scampo. L’ultima partita del suo Bologna fu contro la Lazio: disputata il 16 ottobre 1938, fu vinta per 2 a 0. “La Gazzetta dello Sport” ancora una volta ebbe elogi per la squadra dell’ungherese. Fu l’ultima volta. Poi il silenzio. Sulla stampa italiana non si scrisse più di lui, come se non fosse mai esistito. Weisz era già morto prima di morire. Ucciso due volte.

Insieme alla moglie e ai figli lasciò l’Italia il 10 gennaio 1939. Ripararono prima a Parigi, poi a Dordrecht (Olanda). Qui Weisz allenò il Dordrechtschte Football Club: una squadra di ragazzi che l’ex allenatore del Grande Bologna trasformò in poco tempo in una squadra capace di battere il Feyenoord e giungere quinta in campionato. A conferma di quanto fosse incredibile la sua capacità di creare calcio, anche in condizioni disperate quali erano quelle di un ebreo famoso e braccato in una nazione che ben presto sarebbe caduta ai piedi di Hitler. Alle 7 del mattino del 2 agosto 1942 la Gestapo bussò alla porta del numero 10 di Bethlehemplein dove abitava la famiglia Weisz. Il 2 ottobre 1942 Arpad, Elena, Roberto e Clara salirono sul treno per Auschwitz.

Fino a qualche anno fa tutto questo era ignoto. Nella storia del calcio italiano, che lo stesso Weisz ha creato, il suo nome non compare. Persino nei testi di Gianni Brera e di Antonio Ghirelli viene soltanto sfiorato. Il mondo del calcio italiano deve ancora fare i conti con Arpad Weisz e rendere il giusto omaggio alla sua immortale memoria.

di Giancristiano Desiderio

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