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Dall’indifferenza al politicamente corretto: storie di opposti

1984, nel pieno delle Finals Nba: i Lakers affrontano i Boston Celtics di Larry Bird che, in gara tre, è una furia

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Dall’indifferenza al politicamente corretto: storie di opposti

1984, nel pieno delle Finals Nba: i Lakers affrontano i Boston Celtics di Larry Bird che, in gara tre, è una furia

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Dall’indifferenza al politicamente corretto: storie di opposti

1984, nel pieno delle Finals Nba: i Lakers affrontano i Boston Celtics di Larry Bird che, in gara tre, è una furia

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1984, nel pieno delle Finals Nba: i Lakers affrontano i Boston Celtics di Larry Bird che, in gara tre, è una furia

1984 (no, George Orwell non c’entra nulla), nel pieno delle Finals Nba: Los Angeles Lakers contro Boston Celtics. Il massimo, allora e non solo, in termini di allure. La mitologia dei Lakers dello Showtime, Kareem Abdul-Jabbar, Magic Johnson, coach Pat Riley di Armani vestito in panchina e i loro opposti antropologici: i Boston Celtics di Larry Bird

Il 3 giugno in gara tre i Lakers spazzano via i Celtics al Forum e si portano sul 2-1 (il titolo va a chi vince quattro partite su sette), sembrano avere in mano la serie e il titolo di “Campioni del mondo“. Sì, perché allora gli americani non consideravano neppure possibile si potesse giocare a basket fuori dal proprio Paese e quindi il campione degli Stati Uniti era automaticamente “Campione del mondo”. 

Torniamo a quella lontana serata a LA: negli spogliatoi il leader indiscusso di Boston, Larry Bird, è una furia. Ce l’ha con i compagni, sé stesso, il coach, tutta la squadra. Considera inaccettabile che i Celtics si siano fatti umiliare e pronuncia la seguente frase davanti a un numero imprecisato di telecamere e microfoni: «Abbiamo giocato come delle femminucce». Proprio così e nessuno fa una piega, né al momento né il giorno dopo.

6 giugno 1984, gara quattro ancora al Forum di Los Angeles: i Celtics la mettono sulla rissa e mandano in tilt lo Showtime dei Lakers. Risultato: vince Boston e cambia la storia della finale, che si chiuderà il 12 giugno con il trionfo di Larry Bird e dei biancoverdi in gara sette. Quello che ci interessa era però accaduto negli spogliatoi del Forum al termine di gara quattro quando Larry Bird aveva seraficamente commentato: «Questa sera non abbiamo giocato da femminucce e signorine». 

Sono passati quarant’anni, è cambiato quasi tutto in termini sociali e di comunicazione. Proprio gli Stati Uniti d’America sono diventati la patria dell’ideologia woke e di un politicamente corretto ai limiti del soffocante e talvolta del paradossale. Esagerazioni a parte, non si può restare insensibili davanti a un’evoluzione che certo non è solo del linguaggio. Quel lontano episodio, i personaggi coinvolti – ancora oggi giustamente considerati dei totem del loro mondo – e l’assoluta indifferenza con cui all’epoca si usavano termini, immagini e concetti oggi ‘radioattivi’ ci ricordano che il nostro destino è l’evoluzione e il progresso. Al contempo, però, quanto stia a noi non farci prendere la mano, non confondere forma e sostanza, non provocare paradossalmente reazioni contrarie, imponendo codici morali artificiosi. 

Nessuno si sognerebbe di parlare così di “femminucce” o “signorine”, per manifesta ridicolaggine. Oggi i più alti indici d’ascolto televisivi – ci riferiamo a una settimana fa – non li ha fatti segnare l’Nba, ma il basket collegiale femminile. Sì, avete letto bene (ne abbiamo scritto su La Ragione) grazie al fenomeno Caitlin Clark. Le cose cambiano, le cose evolvono, cerchiamo di non essere noi l’ostacolo.

di Fulvio Giuliani

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