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L’Italia fragile

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L’ennesima devastazione ambientale in Emilia lascia un senso di impotenza, ancor più a un anno e quattro mesi dal disastro del maggio 2023

inondazione Emilia Romagna

Sensazioni di déjà-vu, come quelle provate osservando l’ennesima devastazione ambientale in Emilia, lasciano un senso di impotenza. Ancor più a un anno e quattro mesi dal disastro – ben peggiore – del maggio 2023. Sensazioni che si fanno riflessioni e portano a un dato di fatto incontrovertibile: l’Italia è ormai regolarmente investita da eventi metereologici estremi, concentrati in termini temporali e geografici. Ci stiamo abituando (e non dovremmo mai) alle immagini delle persone costrette ad abbandonare precipitosamente le proprie abitazioni, gli anziani tratti in salvo, le strade trasformate in fiumi, i campi allagati, i danni per miliardi di euro alle infrastrutture civili, industriali, economiche e agricole. Altrettanto angosciante, almeno dal nostro punto di vista, la litania sempre uguale del dopo. A dirla tutta, anche del durante. Gli impegni, le promesse e gli annunci regolarmente più o meno disattesi. Non è colpa di un singolo governo o di una sola maggioranza, perché andiamo avanti da decenni. Ricordiamo bene il balletto politico che seguì il disastro del maggio 2023 e le tensioni fra maggioranza e opposizione sul nome del commissario agli interventi straordinari. Definiti anche con il sostegno dell’Ue (plastico il ricordo del sorvolo in elicottero delle zone alluvionate della presidente del Consiglio Meloni e della presidente della Commissione von der Leyen).

Si dirà che molto è stato fatto, che l’eccezionalità degli eventi è tale da aver spiazzato lavori messi in cantiere o realizzati solo in parte ma resta la sgradevole sensazione di non avere il pieno controllo sul nostro territorio. Poi, in mezzo alla devastazione, si manifesta con consolante regolarità la solidarietà fra cittadini, volontari, rappresentanti delle istituzioni e le forze dell’ordine. Ci si danna l’anima per mettere in sicurezza persone e cose, in piena emergenza si comincia già a lavorare per riparare i anni e consentire un ritorno quanto più rapido possibile alla normalità. Questo spirito di comunità conforta ma meriterebbe una visione che ponga la sicurezza del territorio e delle persone al centro delle future scelte politiche ed economiche.

Fondamentale lavorare sugli argini, pulire i greti dei fiumi, intervenire su costruzioni edificate in condizioni di oggettivo rischio o divenute tali alla luce dei cambiamenti climatici. A monte, però, non può che esserci un approccio sistemico, anche nel reperimento dei soldi. E qui si torna al punto: detto che avremmo dovuto già ‘sentire’ gli effetti del Pnrr e delle cospicue somme riservate alla cura del territorio, le risorse necessarie si annunciano gigantesche e ben difficilmente potranno essere trovate in modi diversi rispetto a quanto indicato dall’ex presidente della Bce Mario Draghi nel suo report.

Il suo lavoro è stato accolto da molti complimenti, tante pacche sulla spalle e numerosi, gelidi distinguo sul cruciale capitolo del debito comune per attrezzare l’Ue alle sfide future.

Di Fulvio Giuliani

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