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La riforma costituzionale sul premierato

Premierando, per i posteri

Nell’aula di Palazzo Madama è andato in scena il dibattito più pazzo del mondo e riguarda la riforma costituzionale sul premierato

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Premierando, per i posteri

Nell’aula di Palazzo Madama è andato in scena il dibattito più pazzo del mondo e riguarda la riforma costituzionale sul premierato

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Premierando, per i posteri

Nell’aula di Palazzo Madama è andato in scena il dibattito più pazzo del mondo e riguarda la riforma costituzionale sul premierato

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Nell’aula di Palazzo Madama è andato in scena il dibattito più pazzo del mondo e riguarda la riforma costituzionale sul premierato

Nell’aula di Palazzo Madama, mercoledì, è andato in scena il dibattito più pazzo del mondo. L’opposizione ha illustrato pregiudiziali di costituzionalità per dimostrare che la riforma costituzionale sul premierato sarebbe contra constitutionem. Un’assurdità. Anche perché il premierato (bene o male, saranno il Parlamento e in ultima istanza i cittadini a deciderlo) dà attuazione all’ordine del giorno Perassi approvato il 5 settembre 1946 dalla seconda Sottocommissione dell’Assemblea costituente. Un documento che diceva sì alla forma di governo parlamentare, a patto di essere integrata da dispositivi costituzionali volti a dare stabilità al potere esecutivo.

Nel frattempo nella Sala della regina di Montecitorio, concludendo il convegno sulla Costituzione davanti a un pubblico che più eterogeneo non poteva essere, Giorgia Meloni ha dato spettacolo. Ha infilzato e messo allo spiedo i soliti ipercritici, propalatori di stucchevoli idola fori. Al presidente del Consiglio saranno venute in mente le critiche rivolte dalle sinistre alla Costituzione della Quinta Repubblica francese. Un vestito su misura di De Gaulle, un colpo di Stato permanente, tuonarono. Poi venne Mitterrand, come Totò buttatosi a sinistra dopo le simpatie giovanili per la destra, e nessuno più fiatò. Perciò Meloni ha tenuto a precisare che il premierato non è stato concepito per l’attuale inquilina di Palazzo Chigi, che non ne ha bisogno in quanto si è già manifestato di fatto, ma per i posteri. Per quanti verranno, prima o poi, dopo di lei.

Ha poi affermato che il capo dello Stato sarà meglio tutelato. E se perde il potere di nomina del premier, è perché questa è stata la regola nei casi di bonaccia politica. Meloni avrebbe potuto aggiungere che gli scioglimenti parlamentari sono stati reclamati dagli stessi partiti. Mentre quello di Scalfaro nel 1994, con un governo Ciampi non sfiduciato, fu un azzardo. Dulcis in fundo, ha sottolineato che il Parlamento è alle corde perché i loro membri sono nominati dalle segreterie dei partiti e la malapianta del trasformismo l’ha avuta vinta. In barba al popolo sovrano.

Il rispetto non si deve solo ai contemporanei ma anche ai posteri. Perciò le cose vanno fatte a regola d’arte. Al nomen iuris deve corrispondere la ‘cosa’. E non ci siamo ancora. La Commissione ha migliorato il testo grazie non tanto al ministro Casellati quanto all’ex presidente del Senato Marcello Pera, eletto nelle file di Fratelli d’Italia. Sarà anche un maledetto toscano, un inguaribile bastian contrario, un Brontolo in servizio permanente effettivo. Ma è tra i pochi che ha denunciato i difetti delle tecnicalità proprie del premierato e ha cercato con alterna fortuna di porvi rimedio. Come dicevano i presidenti del Consiglio di una volta, molto è stato fatto e molto resta ancora da fare.

E veniamo alle dolenti note. Intervistato da “La Stampa”, il ministro meloniano per i rapporti con il Parlamento Luca Ciriani ha decretato che in aula «non ci saranno modifiche sostanziali». Ma delle due, l’una. O il ministro è intimo di quel vecchino del film di René Clair, “Accadde domani”, che aveva il dono di leggere il giornale dell’indomani e di confidarne le notizie all’amico. O ignora che un buon ministro per il Parlamento deve essere soprattutto un ministro del Parlamento per i rapporti con il governo. Come più di tutti seppe fare il repubblicano Oscar Mammì, un mito. Durante gli ostruzionismi di una volta, di notte fraternizzava con i comunisti e di giorno faceva gl’interessi di Palazzo Chigi. Insomma, il Parlamento va rispettato. Come ha sempre fatto da par suo Giorgia.

Silvio Berlusconi aveva il dono dell’ironia e dell’autoironia. Per farsi beffe dell’opposizione, per celia propose che per l’approvazione delle leggi sarebbero bastati i capigruppo con voto ponderato. Apriti cielo. Ma non era farina del suo sacco. L’idea è di un mostro sacro del diritto come Hans Kelsen, secondo il quale per assurdo si sarebbe arrivati a tanto qualora la partitocrazia avesse fatto il nido nelle istituzioni. Ciriani, dia retta: ascolti le voci di dentro.

di Paolo Armaroli

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