Bandiere blu, in Italia è nuovo record: 293 nel 2025
Nel 2025 l’Italia ha conquistato 293 Bandiere Blu. Ma questi numeri raccontano davvero un Paese con più acque pulite? Molto probabilmente la risposta è no
Bandiere blu, in Italia è nuovo record: 293 nel 2025
Nel 2025 l’Italia ha conquistato 293 Bandiere Blu. Ma questi numeri raccontano davvero un Paese con più acque pulite? Molto probabilmente la risposta è no
Bandiere blu, in Italia è nuovo record: 293 nel 2025
Nel 2025 l’Italia ha conquistato 293 Bandiere Blu. Ma questi numeri raccontano davvero un Paese con più acque pulite? Molto probabilmente la risposta è no
Nel 2025 l’Italia ha conquistato 293 Bandiere Blu, un nuovo record rispetto agli anni precedenti. Ma questi numeri raccontano davvero un Paese con più acque (marine e lacustri) pulite e maggiore sostenibilità ambientale? Molto probabilmente la risposta è no. La balneabilità, ovvero il rispetto dei parametri sanitari minimi per fare il bagno (soprattutto cariche batteriche), è un requisito fondamentale, ma non equivale a qualità ambientale. E questo spiega un paradosso sempre più evidente: mari limpidi e incontaminati non ottengono la Bandiera Blu, mentre località con acque spesso torbide e litorali cementificati, sì. Com’è possibile?
La risposta sta nei criteri della Foundation for Environmental Education (Fee), un’organizzazione non governativa danese che assegna il riconoscimento in oltre 50 Paesi. I parametri utilizzati sono 33, suddivisi in quattro macro-aree, ma soltanto una di queste riguarda direttamente la qualità delle acque. Gli altri spaziano dall’educazione ambientale alla gestione dei rifiuti, dalla presenza di bagni e spogliatoi alla mobilità sostenibile. In alcuni casi, persino l’accesso per cani o la disponibilità di acqua potabile in spiaggia fanno la differenza. Insomma, la Bandiera Blu premia più i servizi che l’ambiente.
Dice Sebastiano Venneri, responsabile Turismo di Legambiente: «È come entrare in un ristorante e valutarlo solo per la bellezza delle posate, senza assaggiare il cibo». E quel cibo, nel caso delle spiagge, è il mare stesso. I criteri di selezione non prevedono infatti monitoraggi approfonditi sui metalli pesanti, pesticidi o radioattività. Le analisi, poi, non vengono effettuate nei punti critici, come le foci dei fiumi. Una carenza grave, visto che parte degli scarichi fognari in Italia non è ancora sottoposta a trattamento adeguato. Lo stesso Istituto superiore per la protezione e ricerca ambientale (Ispra) ha rilevato che circa un terzo dei punti di monitoraggio delle acque superficiali ha superato i limiti di legge per i pesticidi.
Questa impostazione ha effetti distorsivi sulla geografia dei riconoscimenti: la Liguria, prima per numero di Bandiere Blu, è anche tra le regioni più colpite da abusi edilizi e reati ambientali. Località con litorali cementificati – per esempio Varazze o Porto San Giorgio – vengono premiate per i servizi, mentre la Sardegna meridionale, con spiagge libere e mare incontaminato, resta in gran parte esclusa. C’è anche un meccanismo di autoreferenzialità: i Comuni devono autocandidarsi, rispondere a questionari e dimostrare di soddisfare requisiti formali. In passato, località molto pulite sono state escluse perché facevano meno analisi, mentre alcuni Comuni si sono autotassati per pagare monitoraggi aggiuntivi pur di non perdere il riconoscimento.
La bellezza selvaggia, la biodiversità o l’assenza di costruzioni pesano poco, spesso solo un punto su decine necessarie per la valutazione finale. In effetti in molte zone del Sud o delle isole i Comuni non partecipano nemmeno alla corsa alla Bandiera Blu: per mancanza di risorse o perché sanno di non poter competere con gli standard imposti. Così succede che il piccolo Trentino vanti poche bandiere in meno rispetto alla più vasta Sicilia e che la Toscana superi, in termini di riconoscimenti, entrambe le nostre isole maggiori. O addirittura che la piccola provincia di Savona conti più riconoscimenti della Sardegna intera.
In conclusione, la Bandiera Blu resta un potente strumento di marketing turistico, ma non va confusa con un’autentica certificazione ecologica. Serve una revisione profonda dei criteri, che ponga al centro la salubrità reale del mare, anche attraverso monitoraggi ambientali più stringenti e trasparenti. Fino ad allora, quel vessillo azzurro potrà sventolare fiero anche sopra acque torbide, porti industriali o coste cementificate. E sarà sempre più difficile dire davvero dove finisce la qualità e inizia solo la promozione.
di Stefano Faina e Silvio Napolitano
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- Tag: turismo
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