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Tullio De Piscopo

Percussioni da Napoli al mondo, parla Tullio De Piscopo

Sono passati 40 anni dall’uscita di “Stop Bajon” nelle radio, un singolo destinato a cambiare i connotati del percussionismo. Le parole di Tullio De Piscopo

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Percussioni da Napoli al mondo, parla Tullio De Piscopo

Sono passati 40 anni dall’uscita di “Stop Bajon” nelle radio, un singolo destinato a cambiare i connotati del percussionismo. Le parole di Tullio De Piscopo

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Percussioni da Napoli al mondo, parla Tullio De Piscopo

Sono passati 40 anni dall’uscita di “Stop Bajon” nelle radio, un singolo destinato a cambiare i connotati del percussionismo. Le parole di Tullio De Piscopo

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Sono passati 40 anni dall’uscita di “Stop Bajon” nelle radio, un singolo destinato a cambiare i connotati del percussionismo. Le parole di Tullio De Piscopo

Tullio De Piscopo è napoletano purosangue e figlio d’arte. Cresciuto nella zona di Porta Capuana, il padre Giuseppe era a sua volta un batterista e percussionista che suonava nell’orchestra del Real Teatro San Carlo e in quella del maestro Giuseppe Anepeta, uno dei più famosi arrangiatori e direttori d’orchestra della canzone napoletana. Il fratello maggiore Romeo, anch’egli batterista, faceva parte di complessi che suonavano nella zona di Bagnoli, gravitando attorno alla base Nato. All’età di 13 anni De Piscopo lavorava in night club della medesima zona, molto frequentati dai soldati americani, mentre in seguito entrò a far parte di gruppi jazz cittadini.

Da pochi mesi è riapparsa sulla scena “Stop Bajon 2 Remix”. Sono passati 40 anni, era il 1984 quando usciva nelle radio “Stop Bajon”, un singolo destinato a cambiare i connotati del percussionismo. Il groove, il modo di essere del suono. Un ritmo tribale che deriva dal bajon, una danza latino-americana «che da bambino ascoltavo alla radio in un programma della Rai, si chiamava “Ballate con noi”. Fu mio padre a spiegarmi tutto su quella musica». Quella di “Stop Bajon” fu un’intuizione vincente: partendo da Napoli, finì nelle playlist dei grandi deejay mondiali. L’inglese Ashley Beedle, per esempio, l’ascoltò mentre era in vacanza alle Canarie, dove il brano veniva suonato in discoteca almeno quattro o cinque volte a serata. Se ne innamorò, lo comprò e lo lanciò nelle radio inglesi.

Per De Piscopo conta di più lo studio o l’improvvisazione? «Tutto nasce da un modo di essere» dice il batterista. In questi giorni è uscito il picture disc, un vinile con un ritratto dell’artista. Sul lato B c’è scritto: «Teng’ a televisione a trentasei canali», un verso del brano. Geniale. Di percussionisti ‘scapigliati’ è piena la generazione attuale, «ma non sarà mai la stessa cosa, perché quello che abbiamo fatto ai nostri tempi è irripetibile. Ognuno di noi ha una personalità, ma ripetere certe intuizioni è raro». Lui non si è mai allineato all’evoluzione della musica: «Non ho mai abbandonato il mio stile ed è stata una cosa buona perché il ritmo, la melodia, lo strumentale sono investimenti e io ho sempre investito. Oggi per far successo servono le views: più visualizzazioni hai, più sei ritenuto bravo». I social hanno stravolto il mercato: «Mi segui, ergo sono».

«Sono sempre stato legato a temi in favore della classe operaia, il mio primo album si chiamava “Sotto e ’ncoppa”, sottosopra, con la copertina che rappresentava una Napoli capovolta. Erano gli anni Settanta, gli anni di piombo, delle guerre con gli ‘Indiani metropolitani’ «che volevano entrare gratis ai concerti, perché dicevano che la musica non si paga e io rispondevo loro “Ma nuie comm’ mangiamme?”, ma noi come mangiamo?».

De Piscopo ha suonato con i più grandi artisti italiani e internazionali: «Ricordo “L’era del cinghiale bianco” con Franco Battiato, poi De André, Dalla, lo straordinario Astor Piazzolla, il re del tango a cui ho dato la mia batteria in “Libertango”, che resta uno dei suoi più grandi successi mondiali. E pensare che Piazzolla diceva che lui non aveva mai avuto la batteria nelle sue composizioni perché nel tango non era prevista come strumento. Poi come potrei dimenticare Pino Daniele, il mio ‘fratello in blues’? Lo definisco così: ‘O’ Zzucchero’».

Ancora oggi, a 78 anni, De Piscopo ha sogni e progetti: «Sono rimasto un cacciatore di sogni, credo in quello che sogno, sognare mi ha portato lontano». E intanto, ultimamente, ha incassato il premio Tenco al Teatro Ariston di Sanremo, come fosse una nuova proposta qualsiasi a caccia di un sogno.

di Felice Massimo De Falco

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