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Baggio

Da quando Baggio non gioca più. Vent’anni fa

L’abbraccio con Paolo Maldini, l’applauso devoto lungo oltre un minuto degli 80 mila di San Siro. Venti anni fa si consumava l’addio al calcio di Roberto Baggio

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Da quando Baggio non gioca più. Vent’anni fa

L’abbraccio con Paolo Maldini, l’applauso devoto lungo oltre un minuto degli 80 mila di San Siro. Venti anni fa si consumava l’addio al calcio di Roberto Baggio

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Da quando Baggio non gioca più. Vent’anni fa

L’abbraccio con Paolo Maldini, l’applauso devoto lungo oltre un minuto degli 80 mila di San Siro. Venti anni fa si consumava l’addio al calcio di Roberto Baggio

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L’abbraccio con Paolo Maldini, l’applauso devoto lungo oltre un minuto degli 80 mila di San Siro. Venti anni fa si consumava l’addio al calcio di Roberto Baggio

L’abbraccio con Paolo Maldini, l’applauso devoto lungo oltre un minuto degli 80 mila di San Siro – dove ha giocato sia con il Milan che con l’Interlo sguardo basso, emozionato. L’omaggio, silenzioso, in quasi tutte le case italiane. Venti anni fa si consumava l’addio al calcio di Roberto Baggio. L’ha ricordato a tutti sua figlia Valentina, sui social. E quando si tratta di Baggio vanno pesate bene le parole, perché si mette mano a un patrimonio collettivo, a una dimensione del calcio diversa, ancora romantica, dove si intrecciano passione e dolore, magie e traumi, l’osmosi con il sentimento popolare e i difficili rapporti con diversi allenatori dalla personalità marcata, come Lippi e Sacchi. Così inclusivo, così divisivo: Baggio era Baggio, anzi resta Baggio, osannato anche sui social: la sua pagina Instagram, aperta dalla figlia e con pochissimi messaggi, raccoglie centinaia di appassionati.

Ci sono stati altri addii commoventi. Su tutti, quello di Francesco Totti nel 2017 all’Olimpico, il più toccante di tutti, con un coinvolgimento emotivo brutale nella sua potenza, ma anche quello di Alessandro Del Piero allo Juventus Stadium, qualche anno prima.

Ma resta negli occhi principalmente quello di Baggio perché è uno dei grandi eroi popolari dello sport italiano, assieme a Marco Pantani, Gigi Riva, Valentino Rossi. Un tavolo di commensali assai ristretto a cui forse si accomoderà anche Jannik Sinner. A differenza degli altri assi, Baggio ha vinto poco, commisurando i successi al suo sublime talento: due scudetti, una Coppa Italia, una Coppa Uefa, un Pallone d’Oro. Ma aveva qualche cosa in più: ci sarà chi segnerà di più o produrrà più assist, ma non sarà mai Baggio.

Ha pure calciato alle stelle il rigore a Pasadena che avrebbe potuto prolungare la sfida con il Brasile nella finale dei Mondiali 1994, che si è decisa ai penalty. Eppure, è stato sempre sommerso d’amore. Un legame mai reciso con il pubblico, anche nei momenti bui, dolorosi, con il calcio che cambiava pelle, lasciando sempre meno spazio ai produttori inesausti di giocate e magie nei complicati disegni tattici. Ancora oggi è così: quelli come lui giocano da attaccanti atipici, o se hanno gambe e un motore all’altezza, sono piazzati sugli esterni, per saltare l’uomo. Ma Baggio è andato oltre la tattica. Baggio è stato mistica, passione. Così è stato a Bologna, nella sua prima tappa verso la risalita e poi a Brescia, con Carletto Mazzone, Pep Guardiola e Luca Toni. Si contano forse sulle dita di una mano gli appassionati che non l’hanno presa male per la sua assenza tra i convocati per i Mondiali di Corea e Giappone, nel 2002: era rientrato da un intervento – l’ennesimo – a un ginocchio, dopo appena 77 giorni, con doppietta. Un altro pezzo della storia epica di un talento surreale che ha giocato 20 anni con un ginocchio al 60% delle sue possibilità e che ha mostrato il lato umano del suo calcio.

di Nicola Sellitti

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