Letterale, Trump e le lettere riguardanti i dazi
Sulla scena dei dazi, fra scadenze e lettere (minacciosamente recapitate anche agli alleati), manca qualche cosa. Manca una controtesi
Letterale, Trump e le lettere riguardanti i dazi
Sulla scena dei dazi, fra scadenze e lettere (minacciosamente recapitate anche agli alleati), manca qualche cosa. Manca una controtesi
Letterale, Trump e le lettere riguardanti i dazi
Sulla scena dei dazi, fra scadenze e lettere (minacciosamente recapitate anche agli alleati), manca qualche cosa. Manca una controtesi
Sulla scena dei dazi, fra scadenze e lettere (anche ieri minacciosamente recapitate agli alleati, come Giappone e Corea del Sud), manca qualche cosa. Manca una controtesi. Quando si passa una dogana e non si è nella condizione in cui si debba pagare qualche cosa, la frase letterale è: «Nulla da dichiarare». Ma quando una dogana viene imposta, quando fra alleati si litiga sui soldi che uno vuole dagli altri, non avere letteralmente nulla da dichiarare è un guaio. Ci si farà del male, negoziando soltanto se farsene tanto o un po’ meno, ma manca la voce dell’antidoto: quella dei liberoscambisti. E manca perché il nostro mondo politico è pieno di gente culturalmente avversa al libero scambio da cui traiamo ricchezza.
Dice Schlein che Meloni, pur di assecondare il suo (presunto) amico Trump (non era amica di Musk?), danneggia gli interessi dell’Italia. È curioso le sfugga che sta usando il medesimo linguaggio che usava Meloni per attaccare i predecessori, non esitando a dire che pur di assecondare gli alleati europei si posponevano quelli italiani. Quelle parole non sono soltanto furore propagandistico, che sarebbe già detestabile, ma peggio: sono una tara culturale, sono la dimostrazione che chi talora veste i panni dell’europeismo e/o quelli dell’atlantismo lo fa perché sta governando e senza comprendere che servono a vestire la produttiva eleganza del liberoscambismo. Peccato siano entrambe figlie (con moltissimi fratelli) di culture che lo negano.
Non è mica per caso che l’Italia non abbia ancora ratificato il trattato di libero scambio con il Canada (il Ceta), che usiamo in via sperimentale senza che ci sia alcunché da sperimentare e dal quale traiamo importanti benefici. Lo attaccarono i sovranisti, in nome della tutela del Made in Italy, che ne ha tratto vantaggi. Non lo difesero i sinistri e non per una diversa valutazione delle nostre produzioni, ma per una uguale diffidenza verso la liberà di mercato.
All’arrogante e autolesionista protervia di Trump non si contrappone la piaggeria infarcita d’ironia di Rutte (olandese, segretario generale della Nato) né lo sterile detestarne il linguaggio da guappo: si devono contrapporre altri accordi di libero scambio. Una scelta politica di dignità, un segnale di lucida reazione sarebbe ratificare subito il Ceta. E poi passare ai fatti con il Mercosur (Paesi dell’America Latina). Negoziare aree di favore con le economie aperte del Pacifico. Interloquire fattivamente con i Brics, che sono politicamente assai disomogenei, non daranno vita a una valuta comune ma possono essere interessati ad allargare l’influenza dell’euro.
Chiunque governi, di destra o di sinistra, un Paese europeo non può oggi che spalleggiare la Commissione europea e realisticamente trovare un accomodamento con Trump. Sarà comunque un danno, ma meglio di una insulsa guerra commerciale. Epperò, contemporaneamente, si deve fare l’opposto rispetto alla volontà americana di distruggere il Wto (l’istituzione del commercio mondiale), ricreandone il funzionamento in vaste aree che escludono il ruolo diretto degli Usa.
Per proteggere gli interessi italiani non si devono usare i fondi del Pnrr per sostenere i nostri esportatori, come voci governative (ad esempio Foti) vanno irresponsabilmente argomentando. Non si spostano soldi destinati a superare arretratezze strutturali, utilizzandoli per emergenze contingenti. Non si usa quel che è destinato a propiziare il futuro per difendere le posizioni del passato. Semmai si accelera alla grande con le riforme interne che rendano dinamico un mercato dal quale emigrano sia i giovani italiani che i giovani immigrati dotati delle competenze e delle intraprendenze valorizzabili altrove. La risposta al trumpismo protezionistico consiste nel sapere creare ricchezza aprendo nuove opportunità di mercato.
Per capirlo e saperlo fare occorre una cultura liberaldemocratica senza dogmi e senza debiti d’incoerenza con il proprio passato. Che quelle voci manchino o siano sussurri è un problema che impoverisce. Facendo credere che serva a qualche cosa rimproverarsi la reciproca inadeguatezza.
di Davide Giacalone
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