Luciano Spalletti e il legame con Napoli
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Luciano Spalletti – cittadino onorario di Napoli – e il legame indissolubile con la città e i napoletani. Un rapporto che va oltre il calcio: Napoli è un'”Università di vita”

Luciano Spalletti e il legame con Napoli
Luciano Spalletti – cittadino onorario di Napoli – e il legame indissolubile con la città e i napoletani. Un rapporto che va oltre il calcio: Napoli è un'”Università di vita”
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Luciano Spalletti – cittadino onorario di Napoli – e il legame indissolubile con la città e i napoletani. Un rapporto che va oltre il calcio: Napoli è un'”Università di vita”
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AUTORE: Nicola Sellitti
È stata ben più di una connessione sentimentale. Ma forse anche il termine magia non rende al meglio l’idea di quello che si è venuto a creare fra Luciano Spalletti e il Napoli inteso come sintesi di calciatori, tifosi e città. Si è definito «uno scugnizzo doc» nella cerimonia per il conferimento della cittadinanza onoraria, al Maschio Angioino di Napoli. Ha ricevuto un altro abbraccio, ha regalato un video ai presenti con le immagini più belle della stagione dello scudetto. Spalletti era teso, ammirato, ancora legatissimo a Napoli. Ha già vissuto amori importanti, Roma lo ha amato (nonostante i dissidi con Francesco Totti da poco sanati). Ma con Napoli è diverso: si sono incontrati quando serviva a entrambi. Luciano era fermo da due anni dopo aver portato l’Inter in Champions League al termine di mesi passati a litigare con tutti, a gestire Mauro Icardi e l’ambiente milanese. Il Napoli aveva perduto la qualificazione nel torneo delle più grandi d’Europa per un punto, per 45 minuti inspiegabili contro il Verona nell’ultimo turno di campionato.
Si sono capiti all’istante nonostante i caratteri diversi: Luciano è polemico, preciso, puntiglioso, spesso poco compreso, sempre sottostimato. Un docente universitario di calcio che ogni volta si sente costretto a salire sul ring contro l’ambiente. Si è incastrato con Napoli che invece vive di passioni e di palpiti, che veniva da oltre 15 anni di calcio finalmente ad alti livelli dopo i dolori del passato e che si era abituata all’estetica della rivoluzione di Maurizio Sarri. Anche quest’ultimo ha avuto un rapporto simbiotico con i tifosi napoletani, ma è stato più un afflato filosofico, la vera (o presunta) rivoluzione, l’assalto al palazzo del potere: benzina emotiva per una città che si radica, si esalta, forse si crogiola ancora nella dimensione antisistemica anche quando un po’ di sistema ci vorrebbe, anzi forse si vede, perché ora è avvolta dai turisti alla riscoperta delle sue immense bellezze, da eventi e fervori culturali, ancora corrosa dalle sue ombre.
La differenza non è stata rappresentata dallo scudetto che Sarri ha soltanto sfiorato (sulle motivazioni è meglio non tornarci, ora non è il caso) bensì sui sentimenti che Spalletti ha saputo evocare, capendo che Napoli non è soltanto passione e creatività ma anche metodo e studio. Ha indicato la strada: lavoro e nessun lamento, niente spettri ma bellezza e concentrazione. Ha stravinto, ha avuto in cambio una festa scudetto indimenticabile, il suo cartonato ai Quartieri Spagnoli. E un posto di diritto fra i grandi della città. Anche se ci ha vissuto appena due anni, non una vita. Ma è bastato. Ora, da commissario tecnico, ricorda ai suoi calciatori il valore della fatica, della divisa che deve essere sporca a fine allenamento, come Diego che si allenava nel fango, negli acquitrini. Diego Maradona.
Anche quando veste i colori dell’Italia, Spalletti non fa altro che raccontare di Napoli che è «università di vita». Ci sono stati altri casi di osmosi fra anime così diverse, in così poco tempo? Forse no, almeno nel calcio italiano. Una magnifica utopia. Che poi utopia non è stata.
di Nicola Sellitti
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